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Argentina: come sfidare i creditori e farla franca

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Fonte: http://www.fpif.org/articles/defy_the_creditors_and_get_away_with_it


La recente scomparsa di Nestor Kirchner è stata percepita come una grande perdita, non solo per l’Argentina ma anche per tutta la regione sudamericana ed il mondo. Nel maggio 2003, Kirchner prendeva il comando di un paese schiacciato dalla sua più grave crisi economica e colpito da un pesante debito. Attraverso il suo coraggioso e vittorioso confronto con il Fondo Monetario Internazionale, egli ha dimostrato che la nazione era in grado di sfidare questa istituzione e sopravvivere per raccontarlo.

La morte inaspettata di Nestor Kirchner il 27 ottobre 2010 non solo ha privato l’Argentina di un notevole, sebbene controverso leader, ma ha anche di una brillante personalità sudamericana capace di trattare con le istituzioni finanziarie internazionali.

Kirchner ha sfidato i creditori. E quello che più è importante, è che ha avuto la meglio.

Il collasso

Il pieno significato delle mosse di Kirchner deve essere letto alla luce della situazione economica che egli ereditava al momento della sua nomina di presidente dell’Argentina nel 2003. Il paese era in bancarotta, avendo debiti per 100 miliardi di dollari. L’economia era in fase di recessione essendo, quell’anno, diminuito il suo prodotto interno lordo del 16%. La disoccupazione era pari al 21.5% della forza lavoro ed il 53% degli argentini era stato spinto al di sotto della soglia di povertà. Quello che una volta era il paese più ricco dell’America Latina in termini di reddito pro capite precipitava dietro al Perù e parte del Centro America.

La crisi dell’Argentina derivava dalla sua fedele adesione al modello neoliberista. La liberalizzazione finanziaria, causa prossima del collasso, era parte integrante di un più vasto programma atto a ristrutturare radicalmente l’economia. L’Argentina era l’esempio tipico della globalizzazione in stile latino. Riduceva le sue barriere commerciali più velocemente della maggior parte delle altre nazioni del Sudamerica e liberalizzava radicalmente il suo conto capitale. Seguiva un ampio programma di privatizzazioni che comprendeva la vendita di 400 imprese statali, incluse le compagnie aeree, le compagnie petrolifere, d’acciaio, assicurazioni, telecomunicazioni, servizi postali e petrolchimici, un complesso responsabile per circa il 7% dell’annuale prodotto interno della nazione.

Nel momento più significativo all’interno della fede neoliberista, Buenos Aires adottava un comitato valutario e perciò rinunciava volontariamente ad ogni significativo controllo sull’impatto interno di una economia globale volatile. Questo sistema pareggiava la quantità di pesos in circolazione e la quantità di dollari in entrata. Questa politica, come osservava lo scrittore del Washington Post Paul Blustein, trasferiva il controllo della politica monetaria ad Alan Greenspan, il Presidente della Federal Reserve il quale si trovava alla fonte della fornitura mondiale di dollari. Questo comportava di fatto la dollarizzazione della moneta del paese.

Il dipartimento del Ministero del Tesoro ed il suo surrogato, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) incoraggiava ed approvava tutte queste misure. Infatti, anche con la liberalizzazione finanziaria chiamata in questione al nascere della crisi finanziaria asiatica del 97-98, l’allora Segretario del tesoro Larry Summers decantava il modello di svendita del settore bancario dell’Argentina come modello per un mondo in via di sviluppo: «Oggi almeno il 50 % del settore bancario, il 70 % di quello privato, in Argentina è controllato dall’estero, un 30% in più rispetto al ’94. Il risultato è un mercato più completo ed efficiente e gli investitori esterni hanno una maggiore remunerazione nel rimanervi».

Il peso ed il dollaro aumentavano di valore nello stesso momento rendendo i beni argentini non competitivi sia per il mercato locale sia per quello globale. Alzare le barriere tariffarie sull’importazione non era un’opzione che apparteneva all’impegno dei tecnocratici nei confronti del principio neoliberista di un libero commercio. Al contrario, indebitandosi pesantemente per finanziare il pericoloso aumentare del disavanzo commerciale, l’Argentina finiva in una spirale debitoria. Più essa chiedeva prestiti, maggiori erano i tassi di interesse poiché i creditori internazionali erano sempre più allarmati. I soldi iniziavano ad abbandonare il paese. Il controllo estero del sistema bancario facilitava il flusso in uscita del tanto necessario capitale per le banche in modo che esse diventassero sempre più riluttanti a prestare denaro, sia per il governo sia per gli affari locali.

Sostenuto dal FMI, il governo neoliberista continuava tuttavia a mantenere il paese nella camicia di forza in cui si era tramutato l’aggancio del peso al dollaro. Come osservava George Soros, «l’Argentina sacrificava praticamente tutto sull’altare del mantenimento del comitato valutario e per venire incontro agli obblighi internazionali».

Verso la fine del 2001 la crisi si dispiegava con una velocità impressionante, costringendo l’Argentina a chiedere aiuto al FMI per far fronte al suo crescente debito. Dopo aver già concesso prestiti, il FMI questa volta opponeva un diniego al proprio alunno, portando il governo ad un default di 100 miliardi di dollari di debiti. Gli affari collassavano, le persone perdevano il lavoro e le rivolte e altre forme di protesta rovesciavano un governo dopo l’altro.

Il paese che ereditava Kirchner nel 2003 in seguito alla sua nomina a Presidente, era un paese devastato. Egli si vedeva obbligato a scegliere fra il debito o la resurrezione, mettere gli interessi dei creditori al primo posto oppure dare la priorità alla ripresa economica. Kirchner offriva di saldare i debiti dell’Argentina ma con un forte sconto. Egli avrebbe cancellato il debito per il 70-75% ripagando solo 25-30 centesimi per un dollaro. Questo creava un forte scontento fra gli obbligazionisti che protestavano fortemente pretendendo che il FMI punisse Kirchner, il quale però ribadiva che questa era la sua ultima offerta e che la loro unica scelta era accettare o perdere qualsiasi tipo di diritto. Avvertiva i creditori che non avrebbe peggiorato la situazione tassando maggiormente i sempre più numerosi argentini in povertà e invitava loro a far visita ai quartieri poveri del paese in modo da poter «sperimentare di prima persona la gravità della situazione». Di fronte alla sua determinazione,il FMI rimaneva senza altra possibilità e la maggioranza degli obbligazionisti accettava rabbiosamente le sue condizioni.

Sicuramente Kirchner ha adottato un atteggiamento aggressivo non solo verso i creditori, ma anche verso il FMI stesso. All’inizio del 2004 avvertiva il Fondo che l’Argentina non avrebbe rimborsato una rata di 3,3 miliardi spettanti al FMI a meno che non si fosse approvato un prestito di simile importo a favore di Buenos Aires. Il FMI, un po’ incredulo, trovò i soldi. Nel dicembre 2005 Kirchner saldava completamente il debito del paese verso il FMI eliminandolo dall’Argentina.

Per oltre due decenni, dalla crisi del debito del Terzo Mondo nei primi anni ’80, l’idea di sfidare i creditori era stata presa in considerazione dai governi dei paesi in via di sviluppo. Si erano già verificati una serie di default più leggeri sui pagamenti, ma Kirchner è stato il primo a minacciare pubblicamente i creditori con un taglio unilaterale e a rispettare poi la promessa. Stratfor, la società di analisi del rischio politico sottolineva le conseguenze della sua rischiosa operazione: «Se l’Argentina si libera dai suoi debiti privati e multilaterali con successo, cioè senza collassare economicamente essendo tagliata fuori dai mercati internazionali, dopo aver rinnegato i suoi debiti, allora anche gli altri paesi potrebbero presto prendere la stessa strada. Questo potrebbe annullare quel poco di rilevanza geopolitica ed istituzionale che è rimasta al FMI».

E senza dubbio, il comportamento di Kirchner contribuiva allo sgretolamento delle credibilità e potere del fondo a metà di questo decennio.

Il recupero

L’Argentina non è collassata. Anzi, è cresciuta di un notevole 10 % ogni anno, nei seguenti 4 anni. Non c’era alcun mistero. Una delle cause centrali della grande crescita erano le risorse finanziarie che il governo ha reinvestito nell’economia invece di inviarle all’esterno come servizio sul debito. La storica iniziativa sul debito di Kirchner si accompagnava ad altre mosse per liberarsi dalle catene del neoliberismo: l’adozione di una fluttuazione controllata del peso argentino, il controllo dei prezzi interni, le imposte sulle esportazioni, il forte aumento della spesa pubblica, ed un tetto agli aumenti dei servizi.

Kirchner non limitava le sue riforme alla sfera locale. Intraprendeva una serie di importanti iniziative con altri leader progressisti in America Latina, come l’affondamento del Libero commercio delle Americhe sponsorizzato da Washington e gli sforzi per realizzare una maggiore cooperazione politica ed economica. Emblema di questa alleanza era l’acquisto, da parte del Venezuela, di 2.4 miliardi di buono argentini, che permetteva al paese di saldare tutto il debito col FMI.

Insieme a Hugo Chavez del Venezuela, Lula del Brasile, Evo Morales della Bolivia, Rafael Correa dell’Ecuador, Kirchner era uno dei più importanti leader che la crisi del neoliberismo ha prodotto in America Latina. Mark Weisbrot, catturandone la portata continentale, scriveva che con le sue mosse Kirchner: «Non ha, in generale, guadagnato molti consensi da parte di Washington ma la storia lo ricorderà non solo come un grande Presidente ma anche come un eroe indipendente dell’America Latina».


* Walden Bello, deputato filippino, è analista di Focus on the Global South ed editorialista di Foreign Policy in Focus.


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